Comunicato del 20 luglio 2020

Il CUSI ha sottoscritto un protocollo d’intesa con il CONI e con Unisport Italia, per definire un programma di lavoro finalizzato all’individuazione di contenuti e strumenti utili alla formazione degli atleti sui temi della dual career.

L’accordo è stato siglato dal Presidente del CONI, Giovanni Malagò, dal Presidente del Centro Universitario Sportivo Italiano, Antonio Dima e dal Presidente del Comitato Direttivo di Unisport Italia (Sistema Sportivo Universitario Italiano), Paolo Bouquet, alla presenza di Raffaella Masciadri, Presidente della Commissione Nazionale Atleti del CONI.

La collaborazione finalizzata a processi di sensibilizzazione e formazione degli atleti è capitolo portante del Protocollo sulla Dual career. In base alle competenze specifiche, prevede programmi di lavoro articolato, contenuti e strumenti utili allo sviluppo delle competenze dello studente-atleta. Anche la promozione su siti e altri canali social delle parti, delle esperienze della vita sportiva degli atleti di rilevanza nazionale, va curata a fondo. Così come i vari momenti di condivisione tra atleti, federazioni, associazioni sportive e altri soggetti, magari con esperti e testimonial. Tra le altre peculiarità, il Protocollo evidenzia la costituzione di reti e collaborazioni con altri soggetti impegnati nel mondo dello sport per diffondere valori e principi espressione della mission delle parti. Con un pensiero per le nuove generazioni.

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Valori condivisi, speranza e determinazione per costruire la classe dirigente del terzo millennio

Il protocollo d’intesa sulla Dual Career, passo decisivo per lo sport universitario. “Nel dopo lockdown sentiamo ancora più forte la necessità di impegnarci senza sosta per un mondo che coniuga sport e studio” dice Antonio Dima

di Mario Frongia

Il presidente del Cusi fotografa e rilancia aspetti dello sport universitario che talvolta possono apparire scontati. Ma la storia, e la quotidianità, insegna che perentorietà, passione ed esperienza sul campo sono decisive anche nei passi brevi e concitati. Antonio Dima guida il Cusi con perizia e competenza. Decenni maturati sulla scia di Leonardo Coiana, confronto e dialogo aperto con l’insieme delle componenti, una visione a 360 gradi utile a coniugare le esigenze degli sportivi con quelle degli atenei e le indicazioni istituzionali. Anche da queste fondamenta è nato, ha preso consistenza e operatività, il protocollo siglato il 2 luglio scorso. Al Coni le quattro cartelle sono state siglate dal numero uno Giovanni Malagò, Unisport (Sistema sportivo universitario nazionale, presidente Paolo Bouquet) e dal presidente del Centro universitario sportivo italiano. “L’intesa cementa un interesse comune con un bersaglio: rafforzare e migliorare in ambito universitario chi studia e fa sport. Siamo e vogliamo essere i principali attori di uno scenario in continua evoluzione e rimaniamo aperti, come da tradizione, a scenari connessi a qualsiasi situazione lavorativa”. Antonio Dima, dallo scorso novembre al timone della mamma dei Cus italiani, annoda i fili. “Dopo un faticoso e doloroso lockdown, le varianti fondamentali da affrontare sono numerose. Ma speranza e determinazione, capitoli chiave del nostro bagaglio storico, sportivo e culturale, non possono mancare. Il Cusi deve esserci e ci sarà, sia per i valori e il format educativo, sia per la conoscenza del movimento, l’organizzazione e la condivisione. Nella costruzione della classe dirigente nazionale vanno inserite competenze e riferimenti normativi certi. Ma anche speranze e valori”. La pandemia, dunque. Con una sottolineatura particolare. “Nello sport universitario e nelle politiche che lo riguardano, una cosa è certa: nulla sarà come prima. Dobbiamo credere e attivarci per inculcare convinzioni e passi concreti che aiutino a superare momenti complessi come quelli attuali. Sarò – rimarca il presidente del Cusi – in prima fila con il direttivo per gestire in modo puntuale, chiaro ed efficace l’intera questione. Veniamo da mesi di chiusure, annullamenti di eventi, campionati e manifestazioni. Adesso, serve uno slancio e un filo di coraggio. Affrontiamo una partita che contiene una tematica interessante e delicata. Sì, penso che il protocollo incornici anche un passaggio storico che richiede perizia, gioco di squadra, intenti comuni volti a mettere a proprio agio le nostre studentesse e i nostri studenti impegnati in pista, piscina, palestra e campi nel paese e all’estero”.

 

Dual career, l’alba di una nuova storia

“Quel che conta in questa fase è l’impegno preso dagli stakeholders. Lo studente-atleta è un pezzo di futuro a cui va garantito un impianto di solide tutele” dice Stefano Bastianon

Da buon podista (“Sono un runner sfegatato, dalle mezze maratone al trial, bellissimo!”), verifica con acume il tracciato ma è interessato al traguardo. Intanto, valuta positivamente le prime mosse di un percorso che definisce “il primo passo di un lungo viaggio”. Stefano Bastianon, esperto e docente di Diritto dell’Unione Europea all’Università di Bergamo, taglia corto: “Il protocollo è lodevole. Ma adesso va valorizzato e per riuscirci è importante che i vari stakeholders in ambito sportivo e universitario abbiano deciso di assumere l’impegno di promuovere insieme l’idea della doppia carriera. Parliamo di un elemento comune che non può essere prerogativa delle università o del mondo sportivo. Per fare operatività al concetto di Dual career e studente-atleta si deve collaborare. Altrimenti non si va da nessuna parte”. Per lo studioso di tematiche inerenti giurisdizione e letteratura sportiva, l’assist arriva da lontano. “Il fenomeno della doppia carriera è planetario. Ma sia chiaro, il modello statunitense è completamente diverso da quello europeo, anche per la differente concezione di sport negli Usa. Piuttosto, i format australiano, inglese, francese e svedese, specie con le recenti linee guida, offrono esempi molto interessanti da seguire ma non da imitare pedissequamente: ciascun paese ha le proprie peculiarità, tra storia, tradizioni e cultura. L’Italia? Siamo un po’ in ritardo, ma possiamo recuperare”. Ora i remi vanno all’unisono. Cusi, Coni e Unisport spingono verso lo stesso bersaglio. “Il protocollo tutela i diritti degli studenti-atleti e fa loro capire che mondo universitario e sportivo hanno a cuore la loro figura. Tutele dirette e indirette importanti. Adesso concentriamoci su quali siano, concretamente, le azioni che verranno messe in atto. Il Cusi? Soggetto chiave di un nuovo percorso”. Percorsi e metodiche consolidate nel tempo. Culle feconde anche delle nuove esperienze rivolte alla figura dello studente-atleta. “Cosa sarà accaduto tra dieci anni? Mi auguro che, magari anche prima, tutte le università italiane riconoscano lo status di studente-atleta. Poi, auspico che – rimarca il professor Bastianon – pur con le inevitabili differenze, abbia preso consistenza uno zoccolo duro di tutele che vengano date ai ragazzi e alle ragazze che fanno sport e studiano”.

 

“La doppia carriera? Una questione di metodo, cultura e nuove opportunità”

Laura Capranica spiega: “Indispensabili le linee guida nazionali. Il ruolo del Cusi è centrale nel processo di condivisione e organizzazione”

“Il Protocollo sulla dual career riveste un aspetto storico di rilievo per il Paese: mette assieme per la prima volta componenti accademiche e sportive, da sempre piuttosto lontane. Gli studenti-atleti sono risorse umane di grande valore”. Laura Capranica – ordinario di Scienze dello sport all’Università di Roma-Foro Italico – taglia corto: “Parliamo di attenzioni e soluzioni adeguate a ragazze e ragazzi che coniugano intere giornate tra sport di alto e medio livello e impegno universitario. Purtroppo, in Italia non ci sono politiche nazionali sulla doppia carriera. Tanto che l’introduzione del Protocollo può diventare modello di riferimento. Anche se – rimarca la docente – vanno migliorati alcuni aspetti. Ad esempio, occorre rinforzare sia una vera e propria consapevolezza culturale, sia le capacità organizzative. Vantiamo docenti e dirigenti capaci e lungimiranti che si mettono a disposizione, ma il tutto va consolidato”. Come quasi sempre, quel che serve è un grimaldello trasversale che mobiliti, includa, aggreghi. Una piccola grande rivoluzione al servizio delle nuove generazioni. “Sì, serve un balzo culturale. Di recente, alcuni genitori mi hanno parlato di empatia: occorre uno strumento educativo anche per loro, a sostegno dei figli studenti che praticano sport con buoni risultati”. Una strada e un’idea che va oltre la quotidianità. Presidente sia del corso di laurea magistrale in Scienze e tecniche dello sport, sia della rete Eas (European student as athlete), Laura Capranica apre un quadro da curare nei dettagli: “Intanto, mancano i dati. I numeri attuali sugli studenti-atleti comprendono solo le “eccellenze” come da definizione del Coni. Ma se diamo uno sguardo alle tante rappresentative nazionali possiamo includere migliaia di casi. Ovviamente, si deve ragionare anche sui ragazzi di non elevato livello ma che potrebbero arrivarci: il percorso deve coinvolgere anche i tanti che arrivano a cogliere le massime prestazioni anche dai 26 anni in su”. Insomma, il lavoro non manca. Le aspettative pure. “Va creato un gruppo di lavoro, così come hanno fatto in Svezia. In Italia la dual career va contestualizzata sulle realtà locali tenendo nel debito conto le varie dinamiche. Le esperienze più accreditate conducono a una puntuale sinergia di lavoro tra le varie componenti, dalle scuole all’università, fino a forze armate, portatori di interesse, associazionismo operativo nel sociale. Uno scenario in cui il Cusi deve avere un ruolo centrale”. La professoressa Capranica trasmette positività: “Bisogna credere a fondo in quel che si fa. Ho collaborato anche per la Fisu, sono certa che il progetto europeo “More than gold” di imminente pubblicazione, possa dare benefici di pregio. Ripeto, le linee guida e un monitoraggio adeguato sono indispensabili”.

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