Cnu, quel sano respiro di sport e competenza
Comunicazione, eventi, regole, qualità tecniche, criticità. Roberto Fabbricini a tutto campo, dai Campionati in corso a L’Aquila alle Universiadi di Napoli
di Mario Frongia
“Lo sport universitario è sano, resiste e combatte. Ma i problemi non mancano”. Roberto Fabbricini la prende larga. Attore principale negli ultimi quattro decenni di sport tricolore, stratega di intese e risposte meditate e di successo al Coni, braccio destro e sinistro del presidentissimo Giovanni Malagò, il manager si gode qualche ora di relax a L’Aquila. Relax, condito da riflessioni, intuito, una ponderazione costruita sulle esperienze passate e, soprattutto, sulla profonda conoscenza delle istituzioni e degli uomini che le rappresentano. “In Italia vantiamo un patrimonio maturato sul campo di dirigenti di alto profilo. Assurdo e controproducente ignorarlo” dice tutto d’un fiato. Reduce da una impattante e imponente – per se stesso, per il sistema Paese e per lo sport, quinta industria nazionale per fatturato, coinvolgimento e giro d’affari, tra sociale e coinvolgimento dei cittadini – esperienza ai vertici della Federcalcio, Roberto Fabbricini ha l’onestà di chi ci ha sempre messo la faccia. Con una regola: informarsi e verificare sempre fonti e contesto. Ma non solo. Da dirigente sportivo ha avuto per bussola il voler coinvolgere le parti, sentirle, trovare la quadra. Un metodo che pare mettere paura e soggezione al nuovo che avanza. Ma questa è un’altra storia. “Parliamo di campionati universitari” rilancia mentre sorseggia il caffè. Parliamone. “La criticità comune a tutte le organizzazioni sportive nazionali, inclusi enti e federazioni, alle prese con eventi di questo tipo, fa capo ad almeno due aspetti fondamentali. Il primo – spiega il già segretario generale del Coni nazionale – riguarda la penuria di giovani. I dati dicono che gli iscritti rispetto al passato diminuiscono. Ma non solo per valutazioni sul profilo tecnico delle manifestazioni, che viene comunque pesato dagli universitari che fanno pratica sportiva di qualità, ma anche per l’insieme di concomitanze con gli impegni internazionali. Da qui, una prima conseguenza: il livello dei partecipanti tende a scemare”.
Il primo aspetto. E il secondo?
Si tratta di un tema più complicato. Anche perché nasce da una crisi diffusa che dipende dall’evoluzione tecnologica, e dal ruolo delle testate giornalistiche, che ha stravolto la comunicazione. E non mi riferisco solo a quella del Cusi.
Approfondiamo.
Viviamo tempi in cui si comunica tutto e il contrario in tempo reale. In cui si può sapere su qualsiasi argomento cosa accade nel mondo. I media vanno in via telematica e raggiungono chiunque e ovunque. Ma il punto è che in questi frangenti, varie aree del paese e dei suoi cittadini, viene a mancare l’impatto spicciolo, quello che arriva nelle case degli italiani, nelle amministrazioni pubbliche e nelle famiglie dei nostri studenti.
Qual è la sensazione?
Che ci vorrà del tempo per ritrovare equilibri che corrispondano alle esigenze di visibilità e divulgazione delle notizie e degli eventi con quelle richieste dalla diverse comunità civiche e sociali.
E sul fronte delle cose che funzionano, cosa segnala?
Organizzare i Cnu, così come eventi simili, è una palestra molto valida. Si impara tanto dal punto di vista organizzativo, su trasporti, impianti e logistica. Qui al Cus L’Aquila il team del presidente Bizzarri ha affrontato e vinto un test importante. Sono stati aiutati dalla centralizzazione degli impianti, condizione che evita la dispersione dei partecipanti. Ma anche il supporto centrale del Cusi, con in testa il vice presidente Gianni Ippolito, il segretario generale Antonio Dima e il responsabile della Commissione tecnica Mauro Nasciuti, è stato molto significativo. Però, meritano comunque un plauso.
Più in generale, qual è l’indicazione che si può trarre?
Proseguire nel solco delle tradizioni dello sport universitario aiuta a formare e aggiornare dirigenti, tecnici, addetti ai lavori. Le capacità ci sono e manifestazioni come i Cnu sono preziose per far crescere gli organizzatori. I campionati diventano una grande palestra di formazione. Senza scordare che chiunque si metta in gioco e si impegni nel far arrivare ai cittadini le emozioni, i valori e la cultura insita nello sport, va sempre e comunque aiutato e applaudito.
Dai Cnu abruzzesi alle Universiadi di Napoli. Qual è il filo?
Intanto, la nota positiva riguarda il recupero di un contenuto tecnico di alto livello. Le Universiadi fino a quattro, cinque edizioni addietro era sceso. A Napoli si annuncia una grande partecipazione di qualità con la presenza di eccellenze di valore mondiale. Peccato che, visto lo standard agonistico, si finirà per avere sotto la luce dei riflettori gli atleti di Corea, Russia e Cina. Ma sono fiducioso, sul podio ci sarà anche l’Italia.
Dottor Fabbricini, il Comitato organizzatore sta marciando nel modo e con i tempi giusti?
Sì. Sono partiti in ritardo, neanche per colpa loro, e hanno recuperato con uno sforzo incredibile. Senza scordare le complessità, con l’aggiunta delle strozzature burocratiche tipiche del nostro paese, che comporta mettere su un evento di queste dimensioni a Napoli.
Leonardo Coiana è stato un suo “fratello”. E nessuno meglio di lei ne ha conosciuto visione, pensiero e operatività. Come valuterebbe il presidentissimo questi Cnu e le Universiadi?
Lilli era un dirigente molto avanti nei ragionamenti. Forse, a modo suo, sarebbe stato molto critico sulla deriva presa in questi ultimi tempi dal movimento sportivo in genere e da quello universitario in particolare. Ma era un entusiasta e avrebbe detto a tutti che la strada era quella giusta, per poi mettersi a lavorare senza sosta sulle criticità. Tenere in vita il movimento e assecondare, cercando di smussare angoli e asperità, sarebbe stato il suo obiettivo. Comunque, su questi campionati aquilani direbbe che la forte coesione tra le dirigenze dei vari Cus vale un gran gol.
Il dottor Coiana propugnava la corsa del Cusi spalmata su più fronti.
Vero. Lilli aveva in animo cose molto importanti e penso alla coesione, alla grande assistenza, anche sanitaria, da offrire agli atleti, al dialogo continuo con le federazioni. Aveva uno spirito di contatto relazionale e rapporti che faceva la differenza su tutti i livelli. Ma ripeto, gli sarebbe piaciuto molto il concetto di coinvolgimento dei territori e delle rappresentanze locali.
E cosa avrebbe suggerito?
Forse, una maggiore presenza, e quindi un coinvolgimento concreto, dei rettori e della macchina universitaria.
Dai Cnu allo sport italiano. Se fosse un corpo umano, quale sarebbe la temperatura attuale?
Molto bassa. Può darsi che questa valutazione sia inficiata dai miei ultimi incarichi, però è innegabile il raggrumarsi di difficoltà di nuova e vecchia data.
Qual è l’esempio?
Il Coni, dopo che per anni ha fatto barriera alle infiltrazioni politiche, si ritrova ai margini o quasi, scalzato da una nuova società che gli leva le principali prerogative. Il banco di prova è complesso e difficile da immaginare negli sviluppi a breve e medio periodo.
Qual è stato il passo falso?
Purtroppo si è trascurato il know how che abbiamo maturato nel tempo. Noi non mandavano la gente sulla luna o su Marte ma ci vuole tempo per capire il sistema sportivo del paese. Certo, siamo ai primi vagiti, si intuisce che vogliono capire. Ma potevano sfruttare a costo zero le persone che al Coni hanno curato, organizzato e dato un insieme di nozioni basilari per la conduzione e l’organizzazione.
Quali sono i rischi?
Il Comitato olimpico segue l’attività agonistica di alto livello e si muove sotto le direttive del Cio. Per dire, se sgarri rischi di non poterti presentare alle Olimpiadi. Poi, c’è anche un altro aspetto molto delicato: il territorio e le sue peculiarità. Parlo di un fiore all’occhiello che non si sa quale fine possa fare.
Insomma, è preoccupato?
Sì. Premesso che anche noi abbiamo commesso degli errori, questa sorta di rivoluzione non mi lascia del tutto tranquillo.